Avventure in libertà

di Stefano Loria

Arriva in libreria Jakob Pesciolini, un romanzo di avventure ai confini della realtà scritto da Enzo Fileno Carabba, vincitore del premio Calvino 1991. E’ un libro bizzarro e poetico, dotato di una straordinaria vitalità, una favola disegnata da un autore che ama trasfigurare il reale in assoluta fedeltà al proprio demone poetico. Lo scrittore, 26 anni, fiorentino, dà qualche indicazione sul romanzo.

 

E’ veramente un fatto notevole che da Firenze provenga uno scrittore come

Enzo Fileno Carabba, giovane non solo per motivi anagrafici, è nato nel 1966, ma anche per inventiva spavalda. Da una città ostinatamente rivolta al passato, devota al nostalgico culto del museo, spunta fuori un libro modernissimo, un romanzo dagli umori estrosi, anomalo rispetto alle attuali maniere della letteratura italiana contemporanea. Jakob Pesciolini, che risultò vincitore del  Premio Calvino 1991 per romanzi inediti, ora esce presso l’editrice Einaudi (200 pagine e lire 20.000), esibendo la sua carica innovativa. La trama non è di quelle che si incontrano facilmente. Viene narrata l’infanzia e l’educazione sentimentale del piccolo Jakob, che una volta

cresciuto concepisce il progetto di trasformare l’Antartide in una gigantesca granita al limone, e diventa così il ricchissimo re delle granite, ma ha perduto l’amata Adel e per questo vuole morire. Assolda un killer che lo uccida… Da qui si liberano paradossali incastri narrativi, degni un Thomas Pynchon, sequenze di sicura presa visionaria, come la scena dell’attacco da parte di una

nuvola di farfalle carnivore in una inquietante foresta notturna. 

Anche sul piano linguistico il libro è costruito con straordinaria efficacia, grazie ad un tono del parlato molto espressivo, sincopato per restare più aderente agli oggetti e ai personaggi. Il discorso è interrotto da una punteggiatura abile, che restituisce alla prosa un ritma serrato, con improvvise variazioni di velocità. La scrittura sembra sottoposta ad un continuo trattamento di effetti speciali.

Carabba appartiene al genere di autori che, gentilissimi, sono disponibili a offrire indicazioni sul proprio lavoro. Ad una iniziale domanda sul rapporto con Firenze, risponde di non sentirsi particolarmente fiorentino. “Legami evidenti con la mia scrittura non ne vedo”. Anche se in città vive da sempre, perfettamente a suo agio. Invitato a chiarire il rapporto tra realtà ed invenzione all’interno di un romanzo così profondamente fantastico, tende a valorizzare una stabile – se pure deformata – presenza di elementi realistici: “C’è un ampliamento della realtà, il mondo è più o meno il nostro, anche se arricchito di altre cose. Il mio romanzo non è una visione onirica dall’inizio alla fine, come alcuni hanno creduto, ci sono dei deragliamenti, però il filo narrativo esiste e vuole avere concretezza”.

Ammette di privilegiare uno stile molto visivo, che si avvicina al linguaggio cinematografico di registi come Steven Spielberg, anche se tiene a sottolineare: “Il mio non è il linguaggio della sceneggiatura”. E quando si suggerisce che la vicenda, essendo narrata per scorci sintetici, può presentare alcune ambiguità, risponde: “E’ vero vero. In determinati punti risulta effettivamente enigmatica, alcune questioni vengono lasciate aperte, in dubbio”. Mi pare che questo procedimento, lasciando al lettore il compito di riempire i vuoti, sia una tecnica moderna, che fa di Jakob Pesciolini un libro controcorrente, che non teme di possedere risvolti sperimentali A questo proposito lo scrittore prende una posizione precisa: “L’uso che faccio di elementi da laboratorio di scrittura romanzesca non deve trarre in inganno. Non mi interessa costruire un gioco per divertire l’intelletto

del lettore, a freddo, come in un esperimento. Quando scrivo mi lascio trasportare dal piacere della narrazione. In un secondo tempo mi accorgo di quello che ho fatto, ma la prima stesura è totalmente spontanea”.

La gioia di inventare, il gusto per l’affabulazione, sono chiaramente percepibili leggendo il romanzo pervaso da un flusso di energia che investe il linguaggio, ma la ricerca non deve essere fine a se stessa: “L’elaborazione linguistica è sempre collegata alle situazioni”.

Osservandolo, Carabba sembra ancora più giovane

dei suoi ventisei anni Ma è attento ad ogni dettaglio della nostra conversazione, cauto e preciso nelle risposte. Parliamo della componente ironica, disseminata qua e là nella storia di Jakob, gli domandiamo quale funzione ricopre nell’economia generale del libro. “Nel romanzo sono presenti situazioni eccessive – risponde -. L’ironia ha la funzione di ridimensionare certe spinte, inoltre serve come indicazione per il lettore, gli suggerisce piccoli cambiamenti di rotta. Al tempo stesso la mia è un’ironia che crede nell’eccesso, mentre la adopro per creare distanza dagli eventi, tuttavia continuo, in qualche modo, a credere a quello che sto raccontando”.

Da questo doppio atteggiamento dell’autore, fiducia nella storia e ironico distacco, mi pare scaturisca il fascino prepotente del libro. L’ambiguità regna anche nel finale, con Jakob che resta sospeso in una piccola navicella, alla deriva nel cosmo. Quale sorte lo attende? Sorride Carabba, un lampo malizioso dietro gli occhiali. “Si suppone che Jakob voglia arrivare da qualche parte. E’ anche certo che non arriverà in nessun posto”.

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