di Laura Carbone
IN UN’EPOCA come la nostra, imbevuta di consumismo e dominata da uno sfrenato quanto smisurato desiderio del possesso di beni materiali, sicuramente il progetto del prof. Pesciolini di cospargere l’Antartide di succo di limone per trasformarlo in un’immensa granita ad uso e consumo dei turisti, condotti tra i ghiacci del Polo per ammirare il suggestivo scenario ambientale, può senz’altro essere considerato l’affare del secolo.
Questo bizzarro e piuttosto originale disegno costituisce l’intelaiatura del romanzo di Enzo Fileno Carabba che, con la sua opera prima, Jacob Pesciolini (Einaudi, 200 page 20.000 lire) ha vinto il premio Calvino 1991 per i romanzi inediti. Il racconto inizia con la descrizione della triste infanzia di Jacob, costretto dalla solitudine ad affidare i propri sogni e le proprie pene ad un interlocutore un po’ particolare, un pesce giallo di nome Otello, e continua con la narrazione della sua adolescenza, trascorsa presso una ricca famiglia che lo adotta, dopo la fuga di Jacob dalla sua casa natale, dove c’erano “tanti fratelli ma nessun genitore”. Segue poi un lungo epistolario indirizzato all’amata Adel, una sua ex compagna di scuola, e scritto da Jacob in carcere, poiché il bambino, sorpreso da un’amica della madre a rubare, la uccide sgozzandola. Dal momento in cui esce di prigione, Jacob dedica tutte le sue energie alla realizzazione del folle ed ambizioso progetto.
L’impresa riesce. Pesciolini crea un enorme paese di Bengodi che si estende a perdita d’occhio e diventa ricchissimo, ma proprio nel momento in cui il sogno si avvera, materializzandosi in una gigantesca granita, fonte di inestimabili guadagni, l’armonia che prima regnava sovrana tra i protagonisti della vicenda, si rompe, ed anche qualcosa, nel suo rapporto con Adel, si incrina irrimediabilmente. Il raggiungimento dell’agognata meta, diviene così il preludio di un disastroso vortice in cui tutti verranno risucchiati ed annientati. Il romanzo, che rivela un’accattivante originalità narrativa, e che appartiene al genere fantastico e surreale,. sconfinando a tratti nel regno dell’assurdo, si profila come una rappresentazione grottesca e tragica, ironica e patetica della realtà, tesa alla ricerca del suo aspetto meno convenzionale e pervasa da un’amara comicità.
Ma il vero punto di forza dell’opera, che le conferisce un carattere particolare ed innovativo, consiste nel linguaggio usato dal Carabba, intessuto di frasi niente affatto stereotipe e di bizzarri neologismi, insomma un caleidoscopio di locuzioni, aggettivi sostantivi, scaturiti dalla inesauribile fantasia del l’autore.