di Enrica Basevi
“Siamo nel dominio del favoloso, del fantastico, dell’assurdo, del comico»: con queste parole lo scrittore Vincenzo Consolo presenta ai colleghi della giuria il suo autore preferito fra quelli che, nel ’90, avevano partecipato al premio Italo Calvino per opere prime di esordienti. L’attenzione di Consolo si era fermata su un voluminoso dattiloscritto: Lo aveva letto con attenzione e poi saldamente difeso in giuria. Alla fine fu proprio il suo autore, Enzo Fileno Carabba, 24 anni (ora ne ha 26), a vincere. E ora è l’Einaudi che, dopo attente nuove letture (nel frattempo il libro si era sveltito, per scelta del giovane autore), sta per lanciare il romanzo in libreria alla fine di giugno. Si intitola, come nella prima stesura, Jacob Pesciolini, dal nome del protagonista.
«La cosa che ci è piaciuta di più in questo romanzo è la capacità dell’autore di lavorare diversi materiali di tipo basso in un montaggio controllatissimo, colto, alto, in un certo senso vicino al nouveau roman degli anni Sessanta» racconta Mauro Bersani, editor della narrativa italiana Einaudi. «Prende dal fumetto, dall’horror, dalla fantascienza, ma rifiuta sempre la fusione fra le diverse scritture, facendo invece ribollire e scatenare i contrasti, in un approccio alla letteratura che diventa sofisticato pur pescando da letture popolari. Per questo mi sembra di trovarci i modi classici di un postmoderno italiano».
Ma chi è Carabba, come vede se stesso e la sua scrittura, si sente postmoderno oppure no, e, per cominciare, che cosa racconta il suo romanzo? Intanto bisogna dire subito al futuro lettore che entrare dentro al romanzo costa, alle prime pagine, un certo sforzo di concentrazione. Ma dopo l’inizio vero e proprio del racconto, che parte dall’infanzia di Jacob Pesciolini, si viene conquistati dalla trama. Che è difficilissima da raccontare, tante sono le cose che accadono: orfano con molti fratelli che lo abbandonano, Jacob fugge di casa e subisce un orribile incidente (preso per un luccio viene travolto da un traghetto); ricoverato in ospedale, viene adocchiato dalla ricca cinquantenne Erika Vonvolveth che lo fa adottare da una coppia tedesca. Scuola, amore per la grassa Adel, uccisione della ricca Vonvolveth, dura prigione, dove Jacob studia e diventa scienziato; partenza con Adel per il mondo dell’Antartide. Obiettivo: trasformarlo in una immensa granita irrorando succo di limone da un elicottero; infinite avventure, morte di Adel e suspense finale, il tutto complicato da un’ombrosa storia di killer.
Per descrivere Carabba bastano pochi dettagli: ha momentaneamente interrotto l’università, dove era interessato soprattutto alla storia della filosofia, ha studiato anche musica, abita a Firenze, in un monolocale: lui, lei, più due gatti. Ha lavorato per l’editoria, e soprattutto scrive, non direttamente al computer, ma preferibilmente a mano o a macchina, per conservare memoria delle successive versioni dei suoi testi. La sua grande passione, correlata al gusto per l’altezza, la verticalità, le cose in bilico, è andare sott’acqua con le bombole, esplorare il fondo marino, fermarsi seduto a guardare gli abissi. Rifiuta la definizione di postmoderno: «Per me è il racconto che ha valore anche per gli sviluppi linguistici scelti, dice.
“Il filo unitario di un romanzo è dato appunto dalla sua storia e dalla sensibilità di fondo che è sempre la stessa, mentre certi aspetti del linguaggio possono mutare con il mutare degli episodi narrati. Secondo me, il romanzo è tenuto da una logica che è anche visuale: è la visibilità delle azioni che mi interessa» conclude Carabba. E se gli si chiede quanto nel libro è autobiografico, se lo sono le vicende, o le ossessioni che circolano di pagina in pagina, risponde di no per le vicende, mentre lo sono alcune ossessioni, come per esempio quella dell’altezza o della profondità dell’Antartide. “Ma non ci sono simbolismi, o metafore, nemmeno a proposito dei killer, o di quando Jacob, alla fine, va alla deriva in una capsula spaziale: perché non penso che l’uomo contemporaneo vada alla deriva”.
Quello che preoccupa Carabba, fra le varie cose dette su di lui dai suoi primi lettori professionali, è che la sua sia una storia soltanto di fantascienza, sull’Antartide.
“Questo è solo un episodio” spiega. E vorrebbe che, a proposito del suo linguaggio, si capisse che lui applica certi modi di esprimersi alle situazioni più fantastiche, ma sempre concrete. Non a caso la massima scena d’amore fra Jacob e Adel è scritta così: Jacob tento di spogliarla, anche se non era sicuro di quello che faceva. Dopo alterne vicende si ritrovarono affannati e semisvestiti. Adel era bellissima. Glielo sgusciò limpidamente e se lo introdusse. Così Jacob conobbe l’amore”
E anche nella parte del racconto che è di fantascienza, per esempio «Quando dopo cinque ore di marcia automatica il mare scomparve dalla loro vista e dalle loro teste, Hideiko disse che era un peccato, perché forse avrebbero potuto pescare dal di sotto», mentre sembra di essere davvero in un fumetto, con tutti i suoi effetti, la scrittura, pur in parte mutata, resta “alta». E tornano così in mente i primi dichiarati amori del giovane Carabba: da Gadda a Queneau, passando per Rabelais, e per finire con Isaac Asimov e Philip K. Dick, autore di quel Cacciatore di androidi la cui rinnegata edizione in cinema è il mitico Blade runner.